Un Paradiso
Una storia vera.
Quando persino una cinese ti dà del terrone significa che sei ridotto veramente una miseria. Oggi, casualmente, mi sono ritrovato a parlare con una ragazza cinese che studia nella mia università e, una domanda dopo l’altra, siamo arrivati a parlare del mio corso di studi. Inizio a spiegarle qualcosa. Succede il grave fatto.
«Ma tu sei del sud, vero?», dice, interrompendomi con un briciolo di maleducazione.
Così, senza preavviso e senza, a mio giudizio, motivo alcuno. Rispondo, ormai chiuso in me stesso come monade avvilita, affranta, imbarazzata.
«Sì, lo sono».
Raccolgo le mie cose e scappo come un ladro. Io sono terrone, continuo a ripetermi mentre corro giù da Città Alta. Non posso farci nulla – è anche inutile continuare a nasconderlo: si vede da cento metri almeno che sono del sud. Ma da cosa può averlo intuito, per Dio! I modi? Sono compunto. L’accento? Molti amici negano che io abbia accento meridionale. Il colore? Non sarò albino ma non sono neppure negro santiddio!
Sono nato in Calabria, sì, ma sono cresciuto al Nord, qua in mezzo a voi! Da quando ho due anni. Rimugino, quasi piango al pensiero che, se persino una donna cinese, e che parla malaccio l’italiano, è stata in grado di ricostruire la mia provenienza smascherandomi in un paio di minuti (nonostante io abbia messo su un sistema ben strutturato per nasconderla) non deve esserci proprio più speranza. Devo accettarlo, sarò per sempre un terrone. E questa croce, questo oscuro vessillo penderà per sempre sulla mia testa, come una freccia che perpetua segnalerà ai passanti la scomoda presenza di un uomo del sud. La mia colpa non sarà mai espiata, penso, e macchierò con la mia sozzura anche quei poveracci dei miei figli, se ne avrò: dovranno vivere con il tormento di avere avuto un padre del sud, svenendo ogni qual volta qualcuno proferirà loro la fatidica domanda: «Ma anche i tuoi genitori sono del nord, vero?». Vivo in pena per voi. Vi chiedo perdono già da ora: vostro padre è profondamente addolorato di essere un calabrese e se ne assume tutta la responsabilità.
Ma a ripensarci anche la mia fidanzata, Beatrice, una sera a cena con dei nostri amici del nord, senza alcuno scrupolo, si premurò di far sapere a tutti da che razza di posto io provenissi: il sud Italia. Come se fosse un fatto normale, da sbandierare ai quattro venti. Vessato e vilipeso e ridicolizzato, amaramente sorrisi, strinsi i pugni sotto alla tavola e piansi lacrimoni invisibili. Dissi, rivolgendomi al cameriere che impietosito mi fissava: «Praticamente nord Africa eh!», sperando di spostare l’attenzione da me al discutibile risultato delle Primavere Arabe. Nessuno rise, solo sguardi di compatimento, come quelli rivolti a un Salvatore Riina qualsiasi che, da dietro pesanti sbarre di ferro, insiste la sua ignoranza rispetto ai più beceri fatti di mafia sicula.
Penso: è inutile tutto questo: i tuoi genitori hanno deciso di farti questo sgarbo: ti hanno fatto nascere in Calabria. Fine del discorso. Tu sarai, caro il mio Marziale, per sempre e senza soluzione di continuità CA-LA-BRE-SE; intensamente calabrese, incessantemente calabrese, senza scampo: terrone. È inutile che continui con la farsa del «ma io sono cresciuto qui, in mezzo a voi! Fratelli padani», è inutile che bevi a sorsoni l’acqua del Po ogni anno a Pontida, è inutile che ti appassioni alla montagna e vai a fare le camminate ogni domenica abbuffandoti di polente taragne: non esiste che un bastardo cresciuto assieme a dei levrieri fin da cucciolo, prima o poi, divenga anche lui di razza. I geni parlano chiaro, caro il mio bastardo calabrese. Questo è un fatto. Continuare a sbattere la testa contro al muro della verità non fa che sottolineare la testardaggine che connota i buffi personaggi che provengono dalla tua scandalosa latitudine. Mi arrendo alla mia meridionalità: decido di concedermi un caffè espresso.
Annichilito, arrivo al bar della mia amica toscana implorante conforto.
«Boia», mi dice, «un lo sapevo mica che sei calabrese».
Questo, per un attimo, mi solleva.
«Ma anche io qua mi considerano terrona, he ci devo fa’. So’ di sSiena io e ci vado fiera».
Penso: facile andare fieri della toscana: Machiavelli, Brunelleschi, Michelangelo, Leonardo, Lorenzo de’ Medici, Dante – per Dio. Come faccio io ad andare fiero della Calabria? Di cosa dovrei andare fiero della mafia? della barbarie? Dell’omicidio? Degli ecomostri? No! Non posso, ripeto nella mia mente meridionale mentre ringrazio e pago il caffè da un euro con la carta – come farebbe uno scandinavo.
Ripenso a Bea, la mia fidanzata. Ma come fai, mi chiedo, ad aver scelto me: un terrone. Quale bontà, quale vocazione al martirio ti ha fatto compiere un gesto così sconsiderato. Chiara, occhioni azzurri, iperborea, tua nonna parla tedesco, sei cresciuta fra Como e il TRENTINO ALTO ADIGE SUD TIROLO RICONOSCIUTA REGIONE A STATUTO SPECIALE CON VOCAZIONE ALL’INDIPENDENZA NONCHÉ DI MARCATA TRADIZIONE ASBURGICA! Ma che hai fattooo! Avresti potuto avere un principe teutonico, bianco, potente e bellissimo. Invece hai scelto Barabba, un moraccio qualsiasi, un salamelecco. Ti sei fidanzata con un Calabrese! Come hai potuto diluirti, come hai potuto annacquare il tuo sangue, sporcare la tua purezza… Non capisco o, meglio, ignoro l’esistenza di simili virtù nordiche.
Continuo a scendere verso la città, e questa discesa inizia a somigliare sempre più a una dantesca calata agli inferi. Ma gli inferi io li ho nella testa, perché sono un meridionale pazzo. Decido in un istante. In via sant’Alessandro c’è una sede della Lega Nord. Prenderò la tessera del partito. Zuppo di sudore (ho corso con il giubbotto) e senza fiato spalanco la porta a vetri della sede del Carroccio che quasi si disfa.
«Datemi la tessera!», urlo disperato.
Ho un momento di ripensamento: basterà una tessera di partito, certo una tessera pesante, che implica cose pesanti, a darmi una parvenza più settentrionale? A darmi un sollievo, seppur momentaneo, da questa situazione insopportabile? Senz’altro riconosco in me una briciola di umanità, di grandezza: mi riconosco mancante di perfezione, e mi scopro in grado di desiderarla. Mentre avanzo verso il bancone comincio a notare dei particolari sempre più grotteschi e inusuali. «Salvini Premier», «L’Italia con Salvini», «In Calabria vota Occhiuto», «In Sicilia vota Lega». Perturbato, per un istante, mi blocco. Dove mi trovo? Sono entrato nell’ufficio giusto? Mi volto verso un angolo dell’ufficio, che nel frattempo e inspiegabilmente, sta diventando sempre più oscuro. La luce che proviene dalla vetrina si allontana da me come in un effetto ottico. Intravedo lo scintillio di una teca, all’interno un telaio che sul momento non riconosco. Avverto uno strano moto crescermi in petto, il cuore inizia a scalpitare, respiro a fatica, un cerchio alla testa mi obnubila i pensieri. le orecchie fischiano. Mio Dio! quale visione oscena! È il plastico del ponte sullo stretto di Messina! Ho un conato. Che sta succedendo? Si sono infiltrati fino a qui? Come ultracorpi, i meridionali hanno infettato anche Bergamo, la Lega. Non riesco a mettere in fila due parole, balbetto, trasecolo. Una scossa, un impeto, mi ridesta di colpo. Ricontrollo: riconosco la punta di Villa sa Giovanni, la diagonale che da Messina spazza fino a Torre Faro. Il sistema nervoso inizia a vibrare come eccitato da un diapason; per un attimo ritorno a respirare. Inaspettatamente comincio a sentirmi meglio, un vento vitale mi trafigge. Il campo visivo sfuma in bianco, della musica proviene da un luogo lontano; ma chiara e sublime come se scaturisse direttamente dal mio corpo. L’acme dei sensi. Acuisco i timpani: la musica è una tarantella celestiale, come suonata da un organetto d’argento fra le mani di Dio. I contorni dell’ufficio si fanno sempre più sfumati; percepisco profumi intensi e mai sentiti, di agrumi, di miele. L’aria fluisce e defluisce dal mio torace come latte tiepido e meraviglioso. Una voce si fa strada in questo piccolo paradiso e lo frantuma come l’arrivo inaspettato di un ricordo doloroso.
«Mi scusSi sSi sente bBene? Ha bbisogno di aiuto?»
La commessa al banco informazioni è chiaramente calabrese. Si sente. E non lo nasconde, anzi lo sottolinea. Chiudo gli occhi, tutto è bianco.

Bel racconto. Bravo. Ironico. Scrivi bene. Però per essere un racconto brevissimo è troppo lungo. Ci sono cose ripetute. Puoi sintetizzare un po’. Baci.
Giusto qualche spunto se ti dovessi ritrovare con la tua amica: Cassiodoro, Pitagora, San Gioacchino da Fiore( a cui si ispira Dante per la costruzione del Paradiso,qui hai anche il collegamento con la Toscana), Mimmo Rotella, Emilia Zinzi, Versace, Corrado Alvaro, Mia Martini, Rino Gaetano, Dulbecco, Brunori Sas, giusto alcuni esempi. Sul tema 'ndrangheta Nicola Gratteri,Lea Garofalo, Giovanni Tizian e il Festival e Fondazione Trame che lavora tutto l'anno nelle scuole,nelle piazze e non solo per portare avanti la cultura dell'antimafia. Come faccio io ogni giorno, a scuola, in Calabria.